L’uomo sullo Stelvio.

Parte Seconda – Il versante di Prato.

Valle di Trafoi 1935. Album dei ricordi del nonno.

Da Sils Maria a Prato allo Stelvio, nella mia testa, c’è un’infinità di chilometri e di tempo. Un’infinta steppa di bitume, prima della meraviglia verticale che ancora non so. Non passa mai. 20 fottuti chilometri orizzontali. O quasi.
C’avete presente quei drittoni con qualche tratto qua e là in leggera discesa con il vento contro e i SUV, per giunta svizzeri, a farvi il pelo?
Beh, andate lungo la strada di Mustair tra l’Engadina e l’Alto Adige e lo saprete.
Scendere dallo Stelvio e piombare in pianura di colpo è cascare dalle nuvole.
Non te l’aspetti. Non ne sapevi niente. Vuoi subito tornar su. Hai il mal d’altura. In pianura non ci vuoi stare. E allora corri, corri per tornare su il più presto possibile. L’effetto della sostanza stupefacente dei 2.758 metri è bello, ma dura troppo poco.
Davanti a una banca svizzera, come i proragonisti di Point Break, ci fermiamo e scendiamo dai destrieri. Ci fosse qualche gendarme si preoccuperebbe. Io ho anche il passamontagna, indossato in cima per la discesa.
Invece facciamo il pieno d’acqua nelle borracce: fino Prato non ci sono fontane. E poi sarà lancio con il paracadute. I 6, divenuti 7, scoppiano di salute e meraviglia negli occhi. Si riparte.
La coppia del pedale pazzo attacca e si sintonizza sui 40 all’ora come una mandria di tori. E noi, come una mandria di caproni, dietro. A dar fondo alle energie rimaste, giusto per trovarsi senza sui tornanti di Trafoi.
D’altra parte, se no, non si sarebbe pericolosi.
La coppia del pedale non molla manco a pagarla. Il gruppo si assottiglia e si sfilaccia.
Io e Daniele Shcleck teniam botta, ma il timore per la prossima agonia cresce. Glia altri, alla spicciolata, vengon seminati.
Al bivio per Prato ci si ricongiunge. Il Gelataio era andato in fuga già alla banca, con il malloppo probabilmente. Non lo rivedremo più.
Da Prato mi viene incontro il DVD della premiata ditta Cassani-Boglia. L’avvertimento era chiaro: chi va piano, va sano e va in cima.
Noi andiamo forte, e la cima nemmeno la vediamo.
Dany Schleck, in salita, non riesce – per definizione- a scendere sotto le 80 RPM. Dunque mena anche quando non mena.
E io con lui. Che Dio ce la mandi buona.
Il Solda comincia a farsi possente, impetuoso, guizzante al nostro fianco. Ci avverte, come il Colorado a chi sale il Gradn Canyon in Arizona, che per arrivare in vetta devi sudartela tutta. E non fare cazzate.
Noi si fa le cazzate.
La prima parte va così via in fretta e lisca, come previsto, e come ampiamente sconsigliato. Siamo a Trafoi.
Qui attacano i tornanti, quelli famosi: 48. Me li bevo con lo sguardo.
Un brivido che va dallo Ionos alle Sidi, mi scuote come una scarica di proiettili da mitraglia.
I primi tornanti entran nel bosco, senza lasciar vedere nulla di quel che sarà. 8-9-10-11% e mai sotto. quarantotto così?
L’è un quarantott, direbbe il nonno. Che c’è, lui, è là già in cima e mi guarda che io son giù. È salito che i tornanti eran sterrati, e ha deciso che voleva fermarsi su. Giusto per convincermi ad andare a trovarlo.
I tornanti, si diceva. I tornanti, prima nel bosco, sembran tacere.
Poi via via, la strada comincia ad aprirsi. E sono cazzi tuoi.
Non ricordo esattamente il punto. Ma c’è un punto, sullo Stelvio, in cui vedi. E capisci la cretinata che hai fatto a venirci.
Intorno al km 10 o 12, probabilmente. Il Passo ti si apre in tutta la sua crudeltà maestosa. In tutta la sua meravigliosa, indimenticabile, cattiveria nietzschana.
È dionisiaco lo Stelvio. Non c’è posto per Apollo. Ninete ragione. Solo passione.
Ho ricordi vaghi. Vengo completamente assorbito, ubriacato dal sublime ed entro il loop. Le pupille inghiottite dall’Orltes. Mai visto nulla del genere io. Né in cielo né in terra.
Le gambe in trance. Mi sento uno shamano del dislivello. Salgo sapendo di mentire. Mento sapendo di salire.
Dico a me stesso: vai su regolare e non voltarti né alzare lo sguardo. Ma come si fa, crsitosanto, come si fa ragazzi?
Quello che ti circonda è troppo. Ti sovrasta. Tu lo subisci.
Lo Stelvio da Trafoi è una salita interminabile. Anche emotivamente.
Significa fare l’esperienza della “Verticaltià” pura e semplice. Verticali i tornanti, squadrati con violenza nella montagna, come gomiti che si fan largo rozzi nella terra. Verticale la parete: impressionante scorgere il passo troppo presto dal basso. E non puoi fare altrimenti, a meno di bendarti.
Perché troppo presto vedi la vetta. Da Bormio non è così.
Da Prato, vedi un puntino nero in alto: è il rifugio sul passo. È la tua condanna.
È tutto troppo in piedi per essere vero. E invece è vero.
Questo quello che passa per la testa sullo Stelvio.
Verticale la fatica: sempre uguale a se stessa, rigida, perfida, mai un attimo di tregua.
Verticale l’elettrocardiogramma: non uso il cardio, ma le frequenze sono alte. Altissime.
Verticale l’elettroencefalogramma: solo emozioni fuori soglia. Non ci sono mezze misure.
È lo Stelvio, bellezza.
Ecco, per ogni ciclista, esiste un prima dello Stelvio e un dopo lo Stelvio. In quel momento io ci sono in mezzo.
Torniamo a noi.
Fino ai 2000 m. di quota, io e Dany Schleck  saliamo validi e leggadri. Oltre, anche noi cominciamo a risentire.
È una lenta caduta. Un lento sentire che non potresti fare un metro di più di questa salita.
E a volte ti assale il dubbio: ce la fa farò?
Ce la fai, ce la fai.
lgi ultimi tornanti sono da brivido emotivo allo stato puro. Belli come il sole. Ti alzi in piedi.
-3,-2,-1. Dai che il nonno è sceso a prenderti.
Anzi no: ce la devi fare da solo.
Come un funambolo ti avviti. Lui sorride e ti guarda. Ha la borraccia da passarti, sporca di terra. I suoi tornanti, un momento fa, erano di polvere e fango. Si cala gli occhialoni, modello aviatore, sugli occhi. Indossa un vecchio foglio di giornale, un metodo che funziona ancora. Un colpo di pedale ed è pronto per la discesa. Ce l’hai fatta. Non lo dice, non vuole che ti monti la testa, ma è felice come una Pasqua.

PS: Mio nonno Bruno, classe 1910, è salito sullo Stelvio da Prato, per la prima volta, nel 1935. Quando questi tornanti l’asfalto non sapevano nemmeno cosa fosse. Mi fa piacere pensare che oggi mi abbia aspettato qui. Questi 3.612 metri di dislivello di questo straordinario, epico doppio Stelvio (Bormio + Prato) sono tutti per lui.

Qui i dati dell’impresa (per i più curiosi)

(SEGUE, A BREVE, PHOTOSTORY A CURA DELL’AUTISTA)